Applicazione d. lgs. 231/01

Una valutazione della normativa 231 e della sua applicazione dall’interno

Per addentrarci negli elementi sostanziali della normativa in parola che nella quotidianità si incontrano, abbiamo posto una serie di domande all’Avvocato Andrea Landolfi, avvocato penalista, figura facente parte di diversi Organismi di Vigilanza 231 con una esperienza pluriennale in tale attività e nella redazione dei modelli organizzativi ex.Dlgs 231/2001. Ecco il sunto del colloquio.

Com’era la situazione nelle aziende prima dell’introduzione del dlgs 231?

La previsione della responsabilità delle persone giuridiche era già presente in alcuni paesi europei prima del 2001 quando   in Italia è entrato in vigore il Dlgs 231/01. Prima di tale norma “resisteva” il brocardo latino “Societas delinquere non potest” in base al quale le persone giuridiche non possono essere soggetti attivi di reati. Penalmente responsabile, nel caso di reati commessi nell’esercizio di un’attività di impresa o facente capo ad un ente, era solo il soggetto che rivestiva la qualifica di imprenditore o che aveva la rappresentanza dell’ente.

Nelle imprese o negli enti di grandi dimensioni, in cui chi era al vertice si trovava nell’oggettiva impossibilità di sovrintendere a tutti i settori, a causa della capillarità stessa della struttura imprenditoriale o dell’organizzazione interna dell’ente, tale regola poteva essere temperata dalla delegabilità dell’osservanza degli obblighi che incombono sull’imprenditore o sul rappresentante, di guisa che la responsabilità derivanti da eventuali violazioni gravasse sui soggetti delegati.

Ovviamente con l’entrata in vigore del Dlgs 231/01 non si poteva certo superare il principio dettato dall’art. 27 Cost.” la responsabilità penale è personale”. Ecco perché si parla di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e di colpa organizzativa.

Prima del 2001 in Italia non vi era la responsabilità delle società e queste non erano dotate di modelli organizzativi ex Dlgs 231/01. Certamente le grandi aziende, soprattutto quelle facenti capo a multinazionali estere avevano, comunque, una organizzazione aziendale, che prescindeva dal Dlgs 231, atta a disciplinare altri aspetti di compliance ma che spesso contenevano principi che sarebbero stati poi utili anche ai fini 231 come:

-prevedere la segregazione delle funzioni nei processi a rischio;

-attribuire poteri di firma autorizzativi coerenti con le responsabilità organizzative e gestionali;

-creare un sistema di monitoraggio idoneo a segnalare le situazioni di criticità;

-adottare strumenti e meccanismi che rendano trasparente la gestione delle risorse finanziarie,

Va, infine, evidenziato come ancor oggi l’adozione di un modello organizzativo sia facoltativo. (art. 41 Cost.” l’iniziativa economica privata è libera”)

Dall’approvazione alla messa a regime il sistema produttivo nazionale quanto tempo ha impiegato per entrare in sintonia con la norma?

Le grandi società, soprattutto quelle facenti parte di multinazionali internazionali in pochi anni si sono adattate alle previsioni normative.

Probabilmente ancora oggi la sensibilità è carente in quelle società a carattere personale dove il singolo imprenditore vive la norma come un aggravio di costi.  Spesso si incontrano realtà in cui formalmente vi è un modello organizzativo ma rinchiuso in un cassetto senza alcuna “vita reale”.

Bisogna tener presente che in caso di contestazioni sarà valutata l’idoneità del modello organizzativo. Un modello non idoneo è tamquam non esset e quindi non può esser utile né come causa di esclusione della colpa organizzativa né come attenuante né come “scudo” per le misure cautelari.

Ad oggi, in ogni caso, è raro trovare società sprovviste di un modello organizzativo.

Siamo di fronte ad una norma che si e’ ampliata nel tempo, quali sono state le integrazioni più significative?

La norma nasce con la finalità principalmente di prevenire i fenomeni corruttivi e certamente tali fattispecie sono anche oggi tra quelle più contestate.

 Nel tempo la norma è stata estesa con l’introduzione di numerosi reati presupposto, quali, ad esempio, i reati in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, dove il vantaggio per l’ente consiste nel risparmio dei costi affrontati per le misure di prevenzione o  i reati ambientali.  Certamente significativa  sarà la Legge 19 dicembre 2019, n. 157, entrata in vigore il 25.12.2019, che ha comportato l’estensione del D.Lgs. 231/01 anche ad alcune fattispecie previste dal D. Lgs. 74/2000 (Nuova disciplina dei reati tributari) .

Oggi le situazioni di criticità più frequenti quali sono?

Spesso nelle società il modello organizzativo viene “sofferto” quale elemento che crea legacci che impediscono una gestione più veloce dei processi senza dover badare alle procedure e quindi vi è una scarsa attenzione alle procedure ed ai protocolli organizzativi.

Come Odv ci si può trovare ad interfacciarsi con imprenditori o Funzioni aziendali che non sono collaborativi ad esempio nella predisposizione e nell’invio dei flussi informativi all’Odv o che non forniscono ausilio nello svolgimento degli audit (ad esempio nella raccolta dei documenti necessari per le verifiche dell’Odv).

Rapporti tra OdV e collegio sindacale, collaborazione o contrapposizione?

Assoluta collaborazione. E’ bene che vi sia un confronto sulle rispettive attività di controllo almeno con cadenza quadrimestrale. Tale collaborazione è ancora più opportuna alla luce dell’introduzione dei reati tributari all’interno del Dlgs.231/01.

Le pare possibile ipotizzare l’efettuazione delle funzioni di odv da parte del collegio stesso?

E’ possibile ma probabilmente inopportuno. In primo luogo va chiarito che, anche se si parla correttamente di responsabilità amministrativa, abbiamo a che fare con una norma volta a prevenire la commissione di reati e che il procedimento che dovesse derivare in caso di violazione del Dlgs. 231/01 è penale.

Per tale ragione si ritiene che sia opportuno che chi svolge il ruolo di Organismo di vigilanza abbia competenze legali e, in particolare, nell’ambito del diritto penale giacchè deve vigilare sul corretto rispetto di quanto nel modello organizzativo è statuito proprio per prevenire la realizzazione dei reati presupposto ex Dlgs.231/01.

 In secondo luogo, va considerato che, in linea teorica, il collegio sindacale potrebbe essere oggetto della vigilanza dell’Odv. I membri del collegio sindacale, infatti, potrebbero concorrere con gli amministratori nella realizzazione di alcune fattispecie, in particolare con riferimento ad alcuni reati societari.

Sul punto si evidenzia che nello statuto dell’Odv solitamente è previsto che lo stesso debba riferire tempestivamente al Cda, affinchè siano adottati gli opportuni provvedimenti, eventuali violazioni del modello organizzativo poste in essere dai membri del Collegio sindacale. In definitiva al massimo un sindaco potrebbe essere un membro di un Odv collegiale.

Quali sono i documenti che più frequentemente impattano nella vita delle imprese?

Se pensiamo al Modello Organizzativo certamente i documenti più rilevanti per i dipendenti sono i protocolli comportamentali   che dettano le regole operative, ad un livello più alto delle procedure che solitamente sono più dettagliate, alle quali i dipendenti devono attenersi nello svolgimento della loro attività.

Ovviamente rilevante è il Codice Etico che evidenzia l’insieme dei valori, dei principi, dei comportamenti di riferimento, dei diritti e dei doveri più importanti rispetto a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, operano nella Società o con la Società.

Il Codice etico è lo strumento base per il consolidamento dei principi etici all’interno dell’azienda, nonchè un mezzo che si pone a garanzia e sostegno della reputazione dell’impresa in modo da creare fiducia verso l’esterno.  E’ peraltro il documento che solitamente è pubblicato nei siti delle società e che è più “esternalizzato”.

Il suo rispetto, infatti, non è richiesto solo ai dipendenti e agli amministratori o dirigenti ma anche a consulenti, fornitori, partners commerciali e a tutti i soggetti legati da rapporti di collaborazione con la società. Spesso nei contratti con controparti è posta anche la clausola in cui si richiede il rispetto delle regole del Codice Etico adottato dalla società.

Si segnala, infine, la presenza del sistema disciplinare che prevede le sanzioni nei confronti di Amministratori, dirigenti e dipendenti che violano le previsioni del modello organizzativo. Le sanzioni, ovviamente, devono essere conformi alle sanzioni previste dai contratti nazionali collettivi di riferimento.

Focalizziamoci ora sui manager, quali rischi possono essere evitati in capo alle figure dirigenziali se il modello 231 vene gestito in modo corretto?

Il modello organizzativo funge da scudo per la società ma non per la persona fisica. Il Manager può “allontanare” la responsabilità da sè tramite le deleghe di funzioni.

Si segnala, però, che la predisposizione dei modelli organizzativi e l’istituzione di un organo di controllo sono sicuramente facoltativi ma che, tuttavia, la loro mancata attuazione può avere conseguenze sotto il profilo delle responsabilità civili degli amministratori. Infatti, in caso di condanna dell’Ente, i soci possono esperire azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per non aver adottato i modelli organizzativi e per non aver provveduto ad istituire un organo di controllo.

Le nomine in capo ai dirigenti di particolari incarichi come devono essere effettuate?

Per le deleghe di funzioni (anche ad esempio per quella del Dirigente delegato in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) basta un atto interno, con data certa, a doppia firma delegante e delegato che accetta la delega, per le procure è necessaria la validazione notarile. Allo stesso modo, basta un atto interno per la nomina del Datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ai sensi del Dlgs 81/08

Quando la responsabilità passa dal CdA al singolo dirigente?

In caso di deleghe di funzioni correttamente predisposte, ossia quando la delega, con data certa, è fatta a persona competente nella materia delegata con autonomia decisionale e di spesa. La delega deve riguardare un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, deve essere espressa ed effettiva e non equivoca e, come detto, deve investire un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. Anche in caso di delega, tuttavia, resta ferma in capo  al delegante (datore di lavoro) l’ ipotesi di “culpa in eligendo e/o vigilando”, in quanto la delega non esclude l’obbligo di vigilanza della figura apicale del corretto espletamento delle deleghe trasferite.

NB: Il D.lgs. 231/2001 prevede nel caso di reato realizzato dal Vertice un’inversione dell’onere della prova: è l‘Ente che deve dimostrare l’elusione fraudolenta del Modello predisposto ed efficacemente attuato. In tal caso non è sufficiente dimostrare che si tratti di illecito commesso da un apicale infedele, ma si richiede, altresì, che non vi sia stato omesso o carente controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza sul rispetto del Modello stesso.  Muovendo da tali premesse, si evidenzia che gli amministratori, ad esempio, sono i destinatari naturali di talune previsioni normative incriminatrici per le quali è configurabile la responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001.

Infatti, alcuni reati sono c.d. “propri” in quanto possono essere realizzati soltanto da soggetti che rivestono una determinata qualifica soggettiva (es. per i reati societari, i soggetti attivi individuati dalla norma incriminatrice sono esclusivamente gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori, il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari e coloro ai quali, per effetto dell’art. 2639 c.c., si estende la qualifica soggettiva). Ecco un prospetto dei reati riferibili ai vertici aziendali:

  • False comunicazioni sociali          – Artt.2621-2621 bis c.c.
  • Impedito controllo          – Art. 2625 c.c.
  • Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante              – Art. 2628c.c.
  • Operazioni in pregiudizio ai creditori      – Art. 2629 c.c.
  • Formazione fittizia del capitale – Art. 2632 c.c.
  • Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza                – Art. 2638 c.c.

Ci può descrivere per sua esperienza alcuni casi di criticità nei quali il modello organizzativo 231 ha permesso alla società e ai dirigenti di uscire indenni dall’azione giudiziaria?

Ci sono numerosi casi in cui, grazie alla ritenuta idoneità del modello organizzativo adottato ed alla dimostrazione dell’elusione fraudolenta dello stesso, il Tribunale ha emesso sentenza di esclusione di responsabilità dell’ente.

Allo stesso modo, il modello organizzativo è stato l’elemento grazie al quale la società è riuscita ad ottenere una sentenza di applicazione della sanzione su richiesta con riduzione della sanzione pecuniaria o ad evitare le sanzioni interdittive. Si segnalano, inoltre, casi in cui il Giudice delle Indagini preliminari ha respinto la richiesta di applicazione di misure cautelari nei confronti dell’ente proprio grazie all’adozione di un modello organizzativo ritenuto idoneo, ancorché postumo rispetto alla commissione del fatto.

Bisogna sottolineare che, nel caso in cui il Tribunale accerti la commissione del reato contestato, l’adozione di un modello organizzativo ritenuto idoneo, la presenza di un Organismo di vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo che ha vigilato in modo sufficiente e la prova dell’elusione fraudolenta del modello organizzativo, comportano l’esclusione della responsabilità dell’Ente ma non della persona fisica che lo ha commesso.

Il modello organizzativo, unitamente alla sussistenza delle circostanze suindicate, quindi, può fungere da “scudo” solo per l’Ente.